giovedì 21 maggio 2009

Per favore, non chiamateli anarchici. E nemmeno studenti.

“Per favore, non chiamateli 'anarchici'”. Così scriveva anni fa Sergio Ricossa riferendosi a quella stessa categoria di giovani – e non più tanto giovani – che il linguaggio giornalistico ci ha abituati a chiamare “no global”. Il più autorevole esponente di quel liberalismo estremo e coerente che è il libertarismo o anarco-capitalismo, esortava a non dare dignità di appartenenza a una categoria politica a squadre di delinquenti nostrani, e nel caso delle contestazioni al “G8 dell'Università”, greci e baschi. L’anarchia, a ben vedere, ha una sua dignità storico-filosofica. Intendiamoci: il più delle volte, e soprattutto nelle sue versioni “di sinistra”, sfuggente, velleitaria, distruttiva. Però ecco, in tutte le sue sfaccettature, persino nella sua contaminazione con la sinistra marxista, dietro a quell’aggettivo c’è una sostanza. La quale manca interamente in quei sedicenti “anarchici” che mercoledì scorso, armati fino ai denti con spranghe, estintori, molotov, hanno trasformato una presunta semplice manifestazione in una guerriglia, che ha visto contrapposti poliziotti e carabinieri ad un esercito di professionisti degli scontri, muniti di passamontagna, caschi da motociclista e bastoni.

Ci permettiamo di aggiungere: “per favore, non chiamateli studenti”, seppure, nei giorni scorsi, autorevoli quotidiani ("La Repubblica", "Il Corriere della Sera") siano usciti con titoloni che parlavano di "scontri fra studenti e forze dell'ordine". Dovrebbe essere sufficiente dare un'occhiata alle foto di questi casseurs che hanno mandato all'ospedale 22 agenti di polizia e 2 carabinieri per rendersi conto che si tratta di individui che profondono il loro impegno in ben altro che esami, piani di studi, tesi, master post-laurea, ecc. Se c'è una cosa che va riconosciuta ai teppisti dell'“Onda” è la loro capacità di organizzazione, l'efficienza quasi militare con cui hanno dimostrato di sapersi riunire (con apporti anche stranieri, come si è detto) e coordinare. Un'efficienza che presuppone un addestramento che a sua volte richiede tempo e risorse, di cui i veri studenti non dispongono di certo. L'unica “università” che ha laureato cum laude gli attivisti in servizio permanente effettivo dello sfascio di saracinesche, dei cassonetti incendiati, del lancio di molotov e bombe carta, della caccia al carabiniere e al poliziotto è quella del teppismo e della guerriglia urbana.

"Studenti" è una definizione che ben si presta a gabellare questi personaggi come "povere vittime" della "repressione poliziesca": ma questi professionisti della disinformatija che si spacciano per giornalisti, chi vogliono prendere per fessi? Non c'è persona dotata del minimo sindacale di buon senso che non comprenda come studente per davvero è chi sa protestare senza violenza, contestare le idee non condivise con parole e scritti intelligenti, non chi pensa di avere la libertà di lanciare pietre e ordigni contro chi è lì a fare il suo lavoro.

Da ultimo, sarebbe stato interessante chiedere ai partecipanti a quella manifestazione se sapevano perché stavano manifestando. Chissà quanti, fra quegli "studenti", avrebbero saputo rispondere...

Giorgio Bianco

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