lunedì 9 febbraio 2009

Una provincia che fa male!



L'Italia è il paese principe degli enti inutili, che accavallano compiti, rallentano ogni tipo di decisione ma soprattutto fagocitano cospicue masse di denaro pubblico (che ricordo non è di tutti, cioè di altri, ma nostro!).

Una delle istituzioni che destano maggior perplessità sono le province, enti le cui funzioni potrebbero essere svolte dalle regioni o dai comuni, e che tendono a moltiplicarsi per il ben noto campanilismo italico, assumendo divisioni territoriali sempre più piccole e improbabili.

Di recente è arrivato alle famiglie della provincia di Torino un opuscolo arancione dal titolo: "La provincia fa bene" dove l'ente -forse per timore di un referendum abolizionista- vanta le cospicue spese fatte in vari settori, come se le cifre a disposizione bastassero come motivazione a tenerlo in vita.
Come sempre accade nella PA, nessun dato è disponibile sull'efficienza del lavoro svolto, e non si vede perchè la regione non potrebbe occuparsi della viabilità o del turismo.

La beffa finale al contribuente è un invito a recarsi, da turista, a Palazzo Cisterna, oppure dulcis in fundo a visitare il nuovissimo grattacielo di 15 piani di corso Inghilterra, dove la vista è panoramica.
Ma quanto è costato questo inutile opuscolo promozionale?

Lo studio.

Le province fanno male: lo conferma uno studio dell’Istituto Bruno Leoni, "L’abolizione delle Province, a cura di Silvio Boccalatte, Rubbettino-Leonardo Facco".
Il costo della politica vero e proprio, calcolando cioè esclusivamente le remunerazioni degli oltre 4mila rappresentanti eletti, supera i 115 milioni.

Tra il 2000 e il 2005, le Province hanno accresciuto le spese del 65%, destinando gran parte delle uscite (quasi 8,5 miliardi) alle spese correnti. Sono aumentate (soprattutto per la competenza acquisita sulla gestione delle strade già dell’Anas) anche le spese per il rimborso dei prestiti, passate da 350 milioni a 1,1 miliardi. Le spese aumentano più delle entrate (nelle quali peraltro assumono un peso crescente trasferimenti regionali e accensioni di prestiti). E s’indirizzano soprattutto verso la gestione corrente, che rappresenta la quota maggiore (seguita da gestione del territorio, istruzione e sviluppo economico) e che è aumentata di oltre il 50% nei cinque anni considerati. Lievita anche l’incidenza, soprattutto nel Centro e nel Mezzogiorno, delle spese per il personale.

Ne derivano prospettive finanziarie fortemente ingessate, perché vincolate soprattutto al pagamento degli stipendi e ai rimborsi dei mutui (a tassi ora crescenti).

La riflessione sul loro futuro non deve risultare una guerra di religione (del resto già persa, a quanto pare).

L'abolizione quindi oltre ad essere una via percorribile è soprattutto auspicabile, prima che Ivrea, Pinerolo o Chivasso chiedano di diventare la centomilessima provincia.

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