lunedì 29 settembre 2008

I vizi non sono crimini!!!


Ogni giorno lo Stato si sente in dovere di farci da mamma, e si permette di entrare nelle nostre case per dirci cosa sia giusto o sbagliato fare delle nostre vite. Politici vecchi di età e di mentalità vogliono regolare tutto nei minimi particolari per trasformarci in automi tutti uguali, stabilendo persino quel che si debba e non si debba mangiare, bere, fumare.

Le nostre abitudini, i nostri gusti, i nostri vizi, sono trattati quotidianamente come crimini. Lo stato proibizionista e salutista è una delle minacce più grandi per la nostra LIBERTÀ. Il grande filosofo Lysander Spooner (guarda caso assente nei programmi della scuola pubblica) scrisse in proposito:
“I vizi sono quelle azioni con le quali un uomo danneggia se stesso o i suoi averi. I crimini sono quelle azioni con le quali un uomo danneggia la persona o gli averi di un altro. I vizi sono semplicemente gli errori che un uomo commette nella ricerca della propria felicità. A differenza dei crimini, essi non implicano malvagità nei confronti degli altri né alcuna interferenza con la loro persona o i loro averi. Se le leggi non fanno una chiara distinzione tra vizi e crimini e non la riconoscono, non può esistere al mondo qualcosa come il diritto individuale, la libertà o la proprietà. Affermare che un vizio sia un crimine e punirlo come tale è, da parte di un governo, un tentativo di falsare la stessa natura delle cose. È tanto assurdo quanto lo sarebbe affermare che la verità è falsità, o che la falsità è verità.”
RIBELLIAMOCI allo Stato che ci vuole suoi docili servi: torniamo ad essere…
UOMINI LIBERI!!!


Movimento Libertario

venerdì 19 settembre 2008

La legge del rosso: lasciare il cittadino al verde


Lo scandalo dei semafori truccati, che ha messo sotto osservazione ben 130 amministrazioni comunali e ne ha coinvolti direttamente una trentina, tra cui in Piemonte il comune di Novara, rappresenta un deciso salto di qualità nei rapporti di corruzione e malaffare in ambito locale.

Il cambiamento può non risaltare perchè siamo tristemente abituati a tangenti sugli appalti pubblici, forniture e servizi, che mettono spesso a rischio le finanze degli enti locali, portando insieme alle inefficienze di gestione alla comoda strada dell'aumento di aliquote comunali, addizionali varie, tariffe rifiuti e via malscorrendo.

Cosa sarà mai uno scandalo fra i molti?

Ma questa vicenda ha permesso ad amministratori disonesti di "tar - tassare" direttamente gli automobilisti - esposti inoltre a rischio incidente - per far apparire floridi bilanci fallimentari, spesso dissanguati da copiose consulenze agli amici di partito o da progetti senza copertura finanziaria.

Costituisce quindi un pericoloso precedente perchè fa venire a galla una forma odiosa di prelievo forzoso mascherato da intervento per la sicurezza. L'effetto è invece quello di togliere risorse ai cittadini e di metterli a rischio.

Demian R.

lunedì 1 settembre 2008

“Il giocattolo si è rotto”: basta con gli stadi di Stato


«Il giocattolo si è rotto. Dobbiamo predisporre misure di immediato assetto e di più lungo respiro. Strategicamente il modello di gestione degli stadi italiani così non funziona, non funziona in nessun altro Paese europeo. Dobbiamo andare verso la privatizzazione degli stadi». Qualcuno ricorda chi ha pronunciato queste parole? Un acceso economista liberista chiamato ad esprimere la propria opinione su qualche incidente di stadio? Un selvaggio “mercatista” - per usare una terminologia cara al ministro Tremonti - fautore di teorie economiche esiziali per il futuro del pianeta? Niente affatto: lo ha dichiarato, sotto il governo Prodi, l’allora ministro per le Politiche giovanili e per lo Sport Giovanna Melandri dai microfoni del Tg-1, immediatamente dopo la morte dell’ispettore Filippo Raciti, durante gli scontri del derby Catania-Palermo del 2 gennaio 2007, in seguito a un colpo al fegato provocato da un oggetto contundente.

In quell’occasione, la politica si è mossa rapidamente, con l’approvazione di un decreto legge, il cosiddetto “pacchetto Amato-Melandri”, una variegata lista di provvedimenti – dal divieto per le società di vendere direttamente o indirettamente biglietti in blocco alle società ospitate all’aumento del Daspo, la diffida ad assistere a eventi sportivi, dalla “flagranza differita” (la norma che prevede l’aumento fino a 48 ore della flagranza di reato, prorogata al 30 giugno 2010) alla disposizione che mette la messa a norma degli stadi, spese comprese, a carico delle società. Di privatizzazione degli stadi, nonostante la manifestazione di apertura del ministro Melandri, neanche l’ombra.

L’inefficacia delle politiche del “pugno di ferro”, nell’occasione, si è palesata con una rapidità impressionante: A meno di 48 ore dall’approvazione del decreto, in occasione di un incontro Roma-Manchester, è bastato un incontro ravvicinato tra le tifoserie fuori dello stadio, ben prima dell’inizio della partita, per scatenare le solite scene di guerriglia, proseguite sugli spalti dell’Olimpico. Qui la polizia ha caricato i supporter del Manchester United, e tra manganelli, fumogeni, seggiolini divelti, lanci di pietre, il bilancio è stato di 18 feriti, tra cui un hooligan grave per una coltellata alla gola. Sette in tutto le persone ferite da coltelli, che non avrebbero dovuto arrivare nelle vicinanze dello stadio. Come gli alcolici. Peccato che all’esterno dell’Olimpico sia stato trovato un tappeto di lattine di birra!

L’episodio non è stato diverso da infiniti altri in cui centinaia di esponenti delle forze dell’ordine in tenuta antisommossa non riescono a tenere a bada i facinorosi, a proteggere i tifosi pacifici e spesso, troppo spesso, nemmeno a difendere la propria incolumità. L’ultimo a cui abbiamo assistito è stato quello di domenica 31 agosto, in occasione di Roma-Napoli: centinaia di agenti a fronteggiare 1.500 tifosi molti dei quali senza biglietto, quattro ferrovieri contusi, lancio di petardi, normali viaggiatori costretti a scendere dall’Intercity che congiunge la città partenopea alla capitale, un ventenne con un martello di 800 grammi. Anche a Torino, del resto, il “tifo” violento non ha mancato di manifestarsi fin dalla prima giornata di campionato: un minibus di tifosi del Lecce, già in precedenza assaltato da tifosi del Torino con lanci di bottiglie e pietre, si è rivelato un vero arsenale, con chiavi inglesi, ganci d’acciaio, bottiglie vuote, bombe-carta.

Il tutto, a dimostrazione del fatto che i nostri politici non si erano nemmeno lontanamente domandati se la “soluzione” – lo Stato e i suoi rappresentanti – non costituisse in realtà il vero problema. Soprattutto, non si era minimamente presa in considerazione l’ipotesi che la strada verso cui la Melandri aveva manifestato un certo favore, quella della privatizzazione degli impianti, non fosse davvero quella giusta. Non ci si è voluti accorgere che è stata proprio la loro natura pubblica a consentirne l’appropriazione da parte dei facinorosi, con la conseguente “militarizzazione” – recinzioni e barriere divisorie che li hanno resi simili a campi di battaglia. Gli stadi sono da tempo “zone franche” in cui il diritto è sospeso e ogni criterio di liceità svaporato; gli impianti pubblici, proprio in quanto pubblici, sono ormai terra di nessuno.

Il fatto che la privatizzazione degli stadi sia auspicabile e possibile è dimostrato da esperienze come l’Emirates Stadium, inaugurato dall’Arsenal, o la Veltins-Arena, di proprietà dello Schalke 04, capofila di una serie di strutture che, in Paesi come la Germania e l’Inghilterra, sono finanziate privatamente dalla società sportiva con il fondamentale sostegno che gli sponsor concedono loro, spesso a fronte della concessione dei naming rights, ovvero del diritto di intitolarsi lo stadio. Scrive Massimiliano Trovato, fellow dell’Istituto Bruno Leoni, prestigioso think-tank libertario:
«La strada maestra per riportare la sicurezza negli stadi è quella di privatizzarli; l’unica, cioè, che si dipana sul piano degl’incentivi anziché sul terreno pericoloso delle buone intenzioni. Che la proprietà venga acquisita dalle società di calcio – sebbene prevedibile e forse in qualche misura auspicabile, in virtù del valore aggiunto da queste frequentemente conferito – è d’importanza relativa. Ciò che davvero conta è che investire su uno stadio, e incamerarne i ritorni, divenga finalmente possibile».
Si tratta di impianti molto diversi da quelli a cui siamo avvezzi, dal momento che non esauriscono la loro funzione nel fine settimana, ma danno vita a tutta una serie di attività commerciali, culturali, ricreative, nel corso dell’intera settimana, aprendosi così ad un’utenza di gran lunga più ampia di quella dei soli tifosi. Inoltre, la trasformazione degli stadi in nuove e diverse strutture di aggregazione, caratterizzate da una minore atmosfera di repressione, capaci di attrarre un pubblico più qualificato e costituito in larga misura da famiglie, genererebbe un processo di autoselezione dei frequentatori degli stadi.

«Facile comprendere – scrive ancora Trovato - quale valore assuma la sicurezza in un tale contesto: la salvaguardia dei clienti (non più dei soli spettatori) è un bene concretamente monetizzabile dal proprietario, come lo è naturalmente la tutela del proprio capitale. Privatizzare gli stadi significherebbe evidentemente privatizzarne la sicurezza». L’esperienza straniera indica che, probabilmente, la sicurezza privata degli stadi sarebbe nei fatti garantita dagli steward, una figura simile per un verso alla maschera di un teatro, in grado di accompagnare lo spettatore al suo posto e di fornirgli le informazioni di cui eventualmente avesse bisogno, per l’altro al buttafuori di una discoteca, in grado di scoraggiare, immobilizzare e se del caso espellere gli indisciplinati.

La questione, si è detto, è di incentivi: c’è da dubitare che agenti spesso malpagati, male equipaggiati, esposti al rischio continuo di ferimenti possano sentirsi granché motivati nel mettere in atto le più o meno draconiane misure decretate dal legislatore di turno. Al contrario, il proprietario di un stadio è mosso da quella tanto spesso bistrattata e disprezzata molla che è la sete di profitto, rispetto alla quale è evidente che la sicurezza degli impianti è fondamentale: «sarebbero rimesse all’interessata valutazione del Proprietario – scrive ancora Trovato -, anziché all’arbitrio di un legislatore, la necessaria dotazione di misure di sicurezza, dalle videocamere ai tornelli, e l’individuazione delle politiche confacenti, ad esempio in tema di posti numerati».

Non è un caso che la legge Amato-Melandri, introducendo la figura degli steward in assenza di privatizzazione degli stadi, si sia rivelata da questo punto di vista fallimentare: un articolo apparso su Panorama.it il 6 aprile 2007 spiegava come, in Italia, quella di assistente allo stadio sia una professione improvvisata, svolta da persone senza esperienza come pensionati, disoccupati, studenti, gente che sfrutta quest’occasione per vedere la partita e magari socializzare. «Tra i 650 steward “ufficiali” della Roma calcio – informava la testata on line -, inquadrati come “collaboratori occasionali”, a quanto risulta a Panorama.it, sono pagati solo quelli impegnati agli ingressi. E lo “stipendio” non è di quelli che cambia la vita: 35 euro netti a gara in ritenuta d’acconto per i coordinatori, che sono una quarantina circa, 20 agli altri. La Lazio punta sul volontariato e i cento steward che vengono pagati incassano 15 euro netti a partita. Si capisce perché preferiscano evitare le risse». E si ha un’altra conferma di come l’interesse economico rappresenti l’incentivo imprescindibile per garantire la sicurezza.


Avere stadi più sicuri significherebbe anche avere stadi più funzionali, comodi e accoglienti, liberi dalle recinzioni e dagli altri apparati che ne fanno, in Italia, strutture, come si è detto, quasi “militarizzate”, e favorirebbero quel clima di serenità e divertimento che deve sostanziare qualunque evento sportivo.


Clan libertario “Edoardo Giretti” - Torino