mercoledì 6 agosto 2008

Piemonte 2050: sempre più vecchi, sempre meno contribuenti, o della necessità di superare lo Stato assistenziale ˗ Giorgio Bianco

È stata presentata, lo scorso 16 luglio, la pubblicazione Previsioni demografiche per sesso ed età al 2050, edita dalla Regione Piemonte e corredata da un commento di Stefano Molino, esperto di demografia della Fondazione Agnelli. Il dato che maggiormente balza agli occhi, ma che non rappresenta certo una sorpresa, è la rapidità e la diffusione dell’invecchiamento: a quella data l’età media, oggi inferiore ai 45 anni, raggiungerà i 50, un incremento che né la fecondità né i flussi migratori riusciranno a contrastare. Il fenomeno avrà ripercussioni soprattutto nella sfera lavorativa, dal momento che nelle aziende e nelle istituzioni saranno preponderanti risorse oltre i cinquant’anni, con tutti i problemi che questo porrà dal punto di vista della loro gestione, formazione e valorizzazione.


L’altro dato macroscopico evidenziato dal rapporto riguarda la natalità: nonostante l’aumento della fecondità recentemente ipotizzato per i decenni a venire, la natalità in Piemonte è destinata a calare dalle circa 37mila nascite degli ultimi anni a circa 20mila nel 2020. Un paradosso solo apparente, che si spiega con la progressiva uscita dall’età riproduttiva delle folte generazioni del baby boom degli anni Sessanta e con la conseguente diminuzione di padri e madri potenziali.


Un altro paradosso riguarda l’aumento dei decessi, pur in presenza di una dilatazione della speranza di vita. Le condizioni generali di vita saranno sempre migliori, le migliori mai registrate in Piemonte, ciononostante il numero dei decessi annui crescerà da 48mila a circa 57mila nel 2020. Un miglioramento delle prospettive di vita a livello individuale si accompagnerà quindi a una maggiore vulnerabilità della popolazione piemontese nel suo complesso.


In una situazione in cui la popolazione lavorativa, dai 15 ai 64 anni, subirà un tracollo, scendendo da due attivi su tre residenti a poco più di uno su due, e in cui la forte crescita della "quarta età" farà lievitare i costi delle cure mediche, le quali, come è noto, toccano il loro apice proprio negli ultimi anni della vita di una persona, le attuali strutture di assistenza sociale sono destinate ad entrare in crisi, e si renderà necessario un radicale ripensamento dei modelli di welfare state a cui siamo stati finora abituati. "È difficile ˗ osserva Enzo Ghigo, senatore del Pdl ˗ pensare che il sistema sanitario pubblico possa reggere di fronte a una domanda di salute che sale in modo esponenziale. Ci dovremo per forza inventare dei meccanismi integrativi, che puntino anche sulla sanità privata". Anche per Oreste Rossi, capogruppo della Lega Nord, si renderanno necessari "interventi dedicati a una popolazione sempre più anziana con maggiori problemi e patologie specifiche". Per le famiglie, poi, Rossi auspica incentivi previsti per i figli, "affinché possano adeguatamente mantenerli, favorendo così una natalità che invece continua a diminuire".


Beninteso, la pubblicazione della Regione Piemonte fotografa una situazione che, in misura diversa, coinvolge non solo tutto il Paese, ma anche gran parte dell’Europa. Scrive Wilfried Prewo, importante economista e direttore della Camera di Commercio e dell’Industria di Hannover nel suo Oltre lo Stato assistenziale, pubblicato in Italia a cura del think tank libertario Istituto Bruno Leoni (www.brunoleoni.it) e dagli editori Facco e Rubettino, "Tra il 2001 e il 2050 si prevede che la percentuale degli ultra sessantenni nella popolazione tedesca passerà dal 24 al 37%". Lo Stato assistenziale così come lo abbiamo conosciuto finora, osserva Priewo, si basa su un presunto "contratto fra generazioni", in base al quale i lavoratori odierni pagano le pensioni degli anziani e contemporaneamente crescono la generazione futura, con la tacita intesa che questi ultimi pagheranno la pensione dei dipendenti di oggi una volta che questi abbiano raggiunto l’età della pensione. "Il contratto tra generazioni ˗ commenta Priewo ˗ è un eufemismo di capacità mimetica senza pari: il testo del contratto, in cui venga chiaramente stabilita una formula che leghi saldamente le responsabilità alle prestazioni, non esiste. Una delle parti contraenti non è ancora nata o non ha ancora raggiunto l’età della ragione. Infine, i lavoratori attivi possono violare impunemente il contratto, ad esempio non generando la prole che in futuro dovrà sobbarcarsi l’onere di pagare le loro pensioni". Il che è proprio ciò che si sta verificando: le generazioni attualmente attive non hanno generato un numero sufficiente di figli e non hanno investito a dovere nel loro capitale umano.


A difesa del tradizionale Stato assistenziale, i suoi sostenitori si appellano spesso alla solidarietà, ma anche questo per l’economista tedesco, è un colossale imbroglio. Scrive Prewo: "L’idea di solidarietà chiede ai membri di una società di stare gli uni al fianco degli altri e ai più forti di sostenere i più deboli, qualora questi ultimi non riescano a badare a se stessi. Ma la solidarietà comporta anche qualcosa in cambio: se la generazione attuale pretende il sostegno della generazione futura, per prima cosa deve fare del proprio meglio per generare una prole sufficientemente numerosa. Invece, non avendo avuto abbastanza figli, abusa del proprio potere elettorale imponendo un’onerosa ipoteca ad una generazione futura numericamente esigua e attribuendo allo Stato il ruolo di garante di questo egoistico progetto. I politici trovano vantaggioso sposare e consacrare questa antitesi della solidarietà. Di fronte a tanta ipocrisia e ad un abuso così sfacciato del concetto di solidarietà, non fa meraviglia che i giovani dimostrino uno sconcertante cinismo e giungano ad ignorare anche chi potrebbe legittimamente appellarsi alla loro compassione".


La tara originaria del welfare state è stata il fatto che i cittadini non vengono considerati come consumatori di un servizio, quindi obbligati ponderare le proprie scelte al fine di contenere le spese, bensì come titolari di un diritto "concesso e fornito dallo Stato, a prescindere che quest’ultimo [agisca] in base a un mandato democratico o, come nel caso di Bismark, come un protettore autoritario, ma benevolo. Concedendo prestazioni sempre più generose la classe politica ha acceso ˗ ma non ha saziato ˗ gli appetiti di un elettorato sempre più esigente, con la tacita intesa che il grosso dei costi sarebbe stato trasmesso alle generazioni a venire. La tendenza demografica in direzione di un numero sempre maggiore di anziani e sempre meno giovani si profilava già all’orizzonte, specialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma la miccia di questa bomba era invero molto lunga". Rapporti come quello della Regione Piemonte ci dicono che quella miccia si sta facendo sempre più corta, e se non si corre al più presto ai ripari la bomba finirà per deflagrare.

Cosa fare, allora? Secondo Prewo, la condizione necessaria al fine di spezzare il circolo vizioso dello Stato assistenziale è l’"abbandono della filosofia verticistica e mirata all’ingegneria sociale e la riorganizzazione della sicurezza sociale in un sistema operante dal basso verso l’alto, mosso dai consumatori stessi". Occorre dunque fare spazio a una ownership society, una società di proprietari liberi e responsabili; occorre cioè restituire ai cittadini la sovranità sul loro portafogli, riconsegnare loro la massima autonomia individuale. La proposta avanzata da Prewo, in sintesi, ruota intorno a cinque punti: 1) la trasformazione degli individui da beneficiari di un diritto in consumatori di un prodotto; 2) la creazione di Conti di Risparmio Previdenziale, Sanitario e altri intestati agli acquirenti di "prodotti" (servizi) di assistenza sociale; 3) maggiore efficienza accomunata a una garanzia di sicurezza sociale: ogni persona sarebbe libera di scegliere il miglior fornitore di assicurazioni per l’assistenza sanitaria, la disoccupazione, i congedi per malattia o la pensione, ma sarebbe obbligatoria una copertura minima, la quale non dovrebbe comunque essere monopolizzata dallo Stato, ma offerta in libera concorrenza fra imprenditori; 4) qualora il consumatore dovesse risparmiare denaro, questo non potrà essere speso per consumi, ma dovrà essere destinato a voci non coperte dalle assicurazioni, come franchigie, o per altri fini previdenziali; 5) infine, una considerazione di realismo politico: poiché, al momento, gli enti di assistenza statale danno lavoro a migliaia di dipendenti, se la riforma non prevedesse per questi ultimi alcun ruolo futuro, essi si batterebbero per impedire alla riforma di avere successo. Al contrario, per rendere più morbida la transizione a un sistema di risparmio privato si potrebbe permettere agli enti gestiti dallo Stato di fornire, in concorrenza con altri produttori, strumenti di assistenza sociale. Sarà poi compito del mercato premiare i fornitori più efficienti e sanzionare quelli inefficienti.


Come si vede, la "ricetta" di Prewo, al di là delle difficoltà di attuazione pratica che qualunque riforma di grande respiro pone, si fonda su alcuni semplici ma imprescindibili principi di libertà e giustizia, con cui, volenti o nolenti, si dovrà tornare a fare i conti: togliere allo Stato compiti che non sono suoi e comunque alleggerirne il peso ormai insopportabile, dare fiato al mercato, e soprattutto restituire fiducia e libertà di agire agli individui.


Giorgio Bianco

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